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YVES SAINT LAURENT Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 4 aprile 2014
 
di Jalil Lespert, con Pierre Niney, Guillaume, Gallienne, Charlotte Le Bon, Laura Smet, Marianne Basler (Francia, 2013)
 
È possibile, grazie all'interpretazione del grande attore, rendere egualmente grande un film? Nel corso dei tempi, la risposta non è mai cambiata: l'attore è appeso al filo sottile che lo lega senza via di scampo (assieme a tutti gli altri collaboratori di un film, sceneggiatore, direttore della fotografia, montatore, ecc.) al proprio regista. Materialmente, ma ancora più psicologicamente: Robert De Niro, dopo il suo memorabile coinvolgimento nei capolavori di Martin Scorsese, ha esaurito il proprio status di più grande attore al mondo. O così, Catherine Deneuve, che dopo Bunuel, Truffaut e Demy ha visto svanire progressivamente il ruolo di musa d'elezione. O gli ultimi decenni della carriera favolosa di Alberto Sordi, apparsi quasi superflui una volta esaurita la leggendaria collaborazione con i Comencini, Monicelli, Risi e Scola.

Qui, due straordinari attori della Comédie Française, il venticinquenne Pierre Niney e il più consacrato Guillaume Gallienne reduce dall'incontenibile successo di TUTTO SUA MADRE, assicurano un fascino particolare alla biografia molto attesa di Yves Saint Laurent. Un'emozione innegabile, dovuta all'incredibile mimetismo di Niney nel riprodurre la fragilità, la timidezza ma anche l'appassionante determinazione del grande stilista. E, in parallelo, la perfetta misura di Gallienne nel ruolo non facile di Pierre Bergé, l'uomo di finanza alla base della diffusione epocale di un marchio come YSL destinato al mito; al tempo stesso inseparabile amante, padre, protettore per decenni di una genialità creatrice minata da una bipolarità che lo condurrà ben oltre l'ansia creatrice. Nella malattia, l'autodistruzione, l'abuso dell'alcol e delle droghe.

YVES SAINT LAURENT ha il merito di non seguire figurativamente e morbosamente il proprio celebre protagonista nella discesa per i vari inferni. Basato sulla biografia di Laurence Benaim, sulle lettere di Bergé oltre che sul suo ruolo di narratore, il film di Jalil Lespert vuol essere una storia d'amore, una testimonianza di quanto questa rifletta gli alti e bassi teneri o furibondi di due vite colte nel vivo; anche, o forse soprattutto, quando di unioni omosessuale si tratti.

Tutto ciò alimenta una produzione che gode dei vantaggi offerti dall' "approvazione" del potente uomo d'affari: primo fra tutti l'accesso all'archivio dello stilista e all'altissima qualità dei modelli originali delle sue favolose sfilate. Non a caso queste finiscono per costituire le sequenze in definitiva meglio filmate del film; in particolare l'ultima, quella dell'addio dello stilista, che si carica di un'emozione autentica, che l'eco di Maria Callas nella Wally sublima in modo epico e non soltanto commovente.

Attore di notevole levatura (RESSOURCES HUMAINES, LE PETIT LIEUTENANT) Jalil Lespert appare regista e sceneggiatore più convenzionale: il film profitta della benedizione dei ricordi di Bergé, di una (relativa) sincerità e intimità. Ma nella sua assenza di follia non tenta nemmeno di entrare nelle ragioni di un lavoro che riesce a elevarsi ad arte e significare un'epoca, di una fatica quotidiana che viene a a scontrarsi con la futilità di una società, di un tragitto umano e sociale che dalla guerra di Algeria conduce alla Parigi del Maggio Sessantotto, dalla sessualità repressa al libertinaggio. Per questo bisognerà forse attendere l'altro ritratto di Yves Saint Laurent firmato da Bertrand Bonello che il prossimo Festival di Cannes dovrebbe riuscire a presentare malgrado la rabbiosa battaglia legale intentata da Bergé.


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